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mercoledì 21 maggio 2014

Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali, Jonathan Safran Foer

Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?

Jonathan Safran Foer

Guanda (2011)


“Da piccolo spesso trascorrevo il fine settimana a casa di mia nonna. Quando arrivavo il venerdì sera lei mi sollevava stringendomi in uno dei suoi abbracci soffocanti. E quando me ne andavo, la domenica pomeriggio, mi alzava di nuovo per aria. Solo molti anni dopo ho capito che mi stava pesando. Mia nonna è sopravvissuta alla guerra a piedi nudi, frugando tra ciò che per gli altri era immangiabile: patate guaste, pezzetti di carne scartati e quel che restava accanto agli ossi e ai noccioli della frutta. Quindi non le importava se coloravo fuori dai margini, purché tagliassi i buoni-sconto lungo la linea tratteggiata. E’ stata mia nonna a insegnarmi che è sufficiente una bustina di tè qualunque sia il numero di tazze che devi servire e che della mela si mangia tutto”.

Di tutte le storie che su di lei si potevano raccontare, la nonna, ci racconta Foer, si era scelta questa storia ed il suo soprannome divenne perciò La Cuoca Migliore Che Ci Sia: voleva essere identificata con la sua capacità di provvedere agli altri e non con la sua sopravvivenza. O forse la sua sopravvivenza era inscritta nella sua capacità di provvedere agli altri. La storia del suo rapporto col cibo racchiudeva tutte le altre storie che si potevano raccontare di lei poiché il cibo, per lei, non era cibo: era terrore, dignità, gratitudine, vendetta, gioia, umiliazione, religione, storia e, ovviamente amore.

L’etica del “mangiare avendo cura” è allora un insegnamento che Foer dice di avere appreso proprio dalla nonna: perché “se niente importa, non c’è nulla da salvare”. Una cura che ha innanzitutto inizio con la ricostruzione della propria responsabilità: comincia così il tentativo di Foer verso la rivendicazione di un’identità in un mondo di persone la cui identità sembra formarsi senza sforzo e di cui lo scrittore intende riappropriarsi. Le indagini che Foer svolge nell’arco di tre anni tra i macelli e gli allevatori americani lo condurrà ad una presa di coscienza che egli non propone al lettore in modo prepotente ma al contrario emerge come un dovere morale: non importa la scelta alimentare a cui Foer sarà coerentemente condotto da questo dovere...e non importa nemmeno che la si condivida oppure no; importa la storia che Foer, da bravo raccontastorie qual è, ci narra e che abita quello spazio strano che sta tra giornalismo e romanzo e che, grazie ad indagini durate tre anni, conduce il lettore attraverso i metodi di produzione e di confezionamento dei prodotti di consumo a base di carne.

Foer ricorda di avere mangiato carne in ogni ricorrenza importante della sua vita. Perché la carne, lo aveva insegnato la nonna, era simbolo di festa. E ne mangiò moltissima anche il giorno della sua laurea, ogni genere di carne. Perché era buonissima. E perché nella formazione delle nostre abitudini più della ragione contano le storie che raccontiamo a noi stessi e che ci raccontiamo a vicenda. Ed è estremamente semplice raccontarsi una storia indulgente su sé stessi.
Le storie che accompagnano il cibo sono importanti. Sono storie che cementano la famiglia e che la legano alle altre. Le storie sul cibo sono dunque storie su di noi, ci parlano della nostra epopea, dei nostri valori.  Mangiare e raccontare, raccontarsi, aveva insegnato la nonna,sono atti inseparabili poiché il cibo serve infondo a due scopi paralleli: nutrire e ricordare.
Sulla scorta del racconto e giustificati dal ricordo, continua Foer, ci limitiamo a mangiare quello che era disponibile, appetitoso, quello che sembrava naturale, sensato e sano: cosa c’è da spiegare?

“Ma il tipo di genitore che ho sempre pensato di volere essere, non poteva sopportare evidentemente un simile disinteresse”.

Foer deve continuare allora il racconto raccogliendo quello passato, che parte della sua infanzia, per proseguirlo ma scrivendolo di sua mano, in modo diverso, senza rinnegarlo poiché

“Sappiamo che la vita che creiamo per gli esseri viventi più in nostro potere ha un’importanza profonda. La nostra reazione all’allevamento intensivo è in definitiva un test su come reagiamo all’inerme, al più remoto, al senza voce; è un test su come ci comportiamo quando nessuno ci costringe ad agire in un modo o nell’altro. Essere coerenti non è obbligatorio, ma confrontarsi con il problema sì.”

Qui trovate la recensione del libro sul mio canale You Tube: Se niente importa, Jonathan Safran Foer

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