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giovedì 22 maggio 2014

L'anima buona del Sezuan, Bertolt Brecht

L’anima buona del Sezuan

Bertolt Brecht

Einaudi (1958)

 

L’anima buona del Sezuan è un’operetta teatrale che Bertolt Brecht scrive tra il 1938 e il 1940 durante l’esilio che Brecht trascorse tra Danimarca e Finlandia. Proprio come la più conosciuta Vita di Galileo Galilei. E tuttavia rimane ingiustamente molto meno nota. Brecht raccoglie in poche pagine un’altra opera d’arte della sua produzione che, come sappiamo, scrive per il teatro ma che, alla lettura, scorre incalzante proprio come un romanzo.

La vicenda ha luogo nella provincia cinese del Sezuan dove Brecht riversa in un’episodio particolare, un’esperienza universale che ci parla in modo simbolico del confronto tra bene e male, tra bontà e malvagità, invitando così i suoi lettori a trarre immediatamente almeno una considerazione: se si rivela relativamente semplice offrire a questi termini una definizione sensata, più problematico sembra, una volta calate nel corso delle cose, non rivelarvi profonde contraddizioni.

Brecht ci racconta di Shen Te che, per necessità, fa la prostituta. Un giorno, al cospetto di Shen Te appaiono tre Dei che si trovano per il mondo con una missione: trovare un’ anima buona e mettere così a tacere la diceria secondo cui per i buoni nel mondo proprio non vi sia spazio. Gli Dei riconoscono immediatamente in Shen Te quell’anima buona di cui sono alla ricerca: Shen Te non ne è affatto convinta (infondo, cerca di spiegare, è una prostituta) e le tre divinità decidono di offrirle una somma di denaro con cui Shen Te potrà finalmente costruirsi una nuova vita. Il mestiere della prostituta, riconoscono gli Dei, è l’esito della difficile circostanza in cui si trova Shen Te che ora, con una nuova fortuna tra le mani, saprà dimostrare, anche a sé stessa, di essere un’anima buona.

Shen Te è infatti davvero un’anima buona: con i soldi ricevuti compra un piccolo negozietto che trasforma in una tabaccheria e non si risparmia nel concedere aiuto a tutti i concittadini che scopre essere in difficoltà; gli stessi che che presto cominceranno ad abusare della generosità. Shen Te rimane così imprigionata tra la promessa espressa agli Dei e gli abusi, le cattiverie che ogni giorno deve subire da parte di chi ha capito essere molto facile approfittarsi di lei. Shen Te, sdoppiata dentro di sé nella sua inclinazione buona e nel desiderio di riportare giustizia tra le dinamiche umane, si trasforma così nel cugino Shui Ta, il suo opposto. Shui Ta assume su di sé il compito di vendicare ogni ingiustizia perpetrata a danno di Shen Te, dimostrandosi privo di ogni scrupolo.

La categoricità dei concetti di bene e male, bontà e malvagità che apparentemente Brecht assegna ai suoi personaggi si scopre così in realtà essere, attraverso Shui Ta, molto più complessa poiché rivela Shen Te: “ Mi era impossibile essere buona per gli altri e per me stessa. E gli dei volevano che io fossi buona prima di tutto verso me stessa”. Ecco che allora, quando gli Dei torneranno al villaggio di Shen Te rivelando di non avere trovato al mondo altra anima buona oltre a Shen Te, non condanneranno la donna per la dissociazione, la separazione da cui ha preso vita Shui Ta. Brecht restituisce così al concetto di bene e male la complessità che necessariamente passa attraverso la dinamica reale dei fatti che li sottrae al mondo puro dell’ideale.  Alla logica del “porgi l’altra guancia” Brecht, attraverso l’assoluzione concessa dai tre Dei, sembra contrapporre l’idea per cui la bontà deve essere sempre funzionale alla giustizia che dunque comporta e prevede la remissione ad ognuno delle proprie responsabilità. Bisogna insomma giocare sempre la propria parte in modo coerente ai fatti e per amore del “giusto”, di fronte a cui, solo, bene e male possono significarsi: se è necessario dunque, chiamare in aiuto il proprio Shin Te, ma a condizione che si reciti razionalmente solo una parte.

Il tema del doppio che attraversa l’operetta di Brecht è certamente un tema fortunato nella letteratura tra 800 e 900 ed, in qualche misura, l’esperienza di Shen Te mi ha riportato alla mente quella narrata da Italo Calvino nel Visconte Dimezzato. Tuttavia, mentre nel racconto di Calvino la frammentazione appare funzionale, alla fine del percorso di conoscenza, ad una ricomposizione, nel racconto di Brecht Shen Te sembra condannata a dover convivere con una scissione che di fatto non può essere ricomposta. Brecht chiude così l’operetta con l’urlo disperato che Shen Te rivolge agli Dei i quali, dopo avere concluso la loro missione, si allontanano nel cielo per tornare alla propria dimensione, abbandonandola così al mondo degli uomini, alle sue lotte, agli opposti che mostrano di non potersi risolvere in alcuna armonica unità.  

Qui trovate il link alla recensione sul mio canale You Tube: L'anima buona del Sezuan, Bertolt Brecht

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