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venerdì 9 maggio 2014

Il cuore freddo, Wilhelm Hauff

Il cuore freddo

Wilhelm Hauff

Sansoni editore (1988)

 

 


Il nome di Wilhelm Hauff (Stoccarda, 1802-1827), sebbene sconosciuto, si affianca ai più noti di Hans Christian Andersen e di Wilhelm e Jacob Grimm. La sua trilogia di novelle (La carovana, Lo sceicco di Alessandria, L’osteria dello Spessart) rappresenta un lascito importante per la letteratura d’infanzia che nulla ha da invidiare a fiabe e racconti più noti al pubblico. Hauff morì purtroppo molto giovane, a soli 24 anni, e ciò di certo incise sulla ricezione dei suoi lavori.

Hauff è convinto che la letteratura, anche quella rivolta ai bambini, come ogni espressione artistica, debba offrire ai propri lettori una forma di evasione dalla realtà, che non si pone comunque mai come fine a sé stessa ma è piuttosto funzionale ad una sua migliore e più profonda comprensione. L’evasione offerta dalle meravigliose fiabe di Hauff ci conduce generalmente in due luoghi ben precisi: da un lato ci porta nell’Oriente festoso che ricorda molto da vicino i paesaggi de Le mille e una notte – libro che Hauff amò moltissimo-, dall’altro nel freddo nord delle foreste germaniche.


Proprio in una foresta, nella Selva Nera di Svevia, si snoda la fiaba che Hauff ci narra ne Il cuore freddo: qui facciamo la conoscenza di Peter Munck, di professione carbonaio ma scontento della  vita, percepita come semplice e insoddisfacente. Peter desidera rompere la monotonia delle sue giornate e crede fermamente che ciò sia di fatto possibile solo attraverso il denaro: solo quando finalmente sarà ricco, pensa, avrà la possibilità di vivere secondo le sue più autentiche aspirazioni. Peter viene così a sapere dalla gente del luogo che molti di loro erano riusciti a raccogliere immense ricchezze dal giorno alla notte, grazie all’intervento di due personaggi misteriosi: il gigante Michele l’Olandese -che si poteva facilmente incontrare addentrandosi nella Selva Nera- e l’ Omino di Vetro -che invece poteva essere evocato attraverso una formula magica-.

Peter conosce solo  una parte di questi versi magici; le ultime righe proprio non riesce a ricordarle. Un giorno, girovagando per la Selva Nera, si imbatte nel Gigante Michele l’Olandese che subito offre a Peter uno scambio: la ricchezza che egli tanto desidera in cambio del suo cuore. Inizialmente Peter è un poco perplesso, ma la giustificazione della strana richiesta che Michele avanza risulterà, ai suoi occhi, del tutto convincente:

“Se anche tu avessi la forza ed il coraggio di intraprendere qualche cosa, il battito del tuo stupido cuore basterebbe a farti tremare e desistere. E poi le umiliazioni dell’amor proprio, l’infelicità…perché una persona per bene dovrebbe dare peso a tutte queste scemenze? Quando l’altro giorno quel tale ti ha chiamato imbroglione e farabutto, ti è forse venuto mal di testa? E quando l’ufficiale giudiziario è venuto a cacciarti via di casa, hai avuto forse mal di pancia? Dimmi, dimmi che cosa è che ti ha fatto male?
-Il cuore-, ripose Peter. […]
-Vedi,- continuò Michele l’Olandese – tutta questa gente ha gettato via paure e preoccupazioni. I loro cuori non battono più impauriti o affannati ed essi sono felici d’aver cacciato l’ospite inquieto da casa loro.
-E che cosa hanno in petto ora al posto del cuore?- domandò Peter colto dalla vertigini per tutto quello che vedeva e sentiva.
-Questo- risposte l’altro tirando fuori da un cassetto un cuore di pietra.”


Così Peter accetta lo scambio. Ma quando, poco dopo, incontrerà l’Omino di Vetro che gli aprirà gli occhi sui veri intenti che muovono Michele l’Olandese e gli offrirà tre desideri per provare a cambiare il corso delle cose, Peter comincerà finalmente a riflettere.

Il resto della storia bisogna proprio ascoltarlo dalle parole di Hauff.  Lascio quindi al lettore la sua curiosità e propongo piuttosto qualche osservazione. Appare chiaro già dalla breve sintesi proposta, che la fiaba di Hauff, come ogni sua novella, conserva uno scopo ben preciso e che pare essere molto simile ad un vero e proprio progetto di riscatto morale, di bonifica del lettore. Il tipo di morale che veicola tale scopo, tuttavia, non si propone come preannunciato, dato a priori, immediatamente chiaro al lettore già all’inizio della storia,ma è tessuto insieme all’intreccio, prende cioè forma man mano che il racconto procede. Scopriamo così che i personaggi di Hauff non sono mai schematicamente suddivisi in “buoni” e “cattivi” e che tutto ciò che accade non può essere categoricamente ricondotto a “bene ” e “male” assoluti – come invece accade nelle fiabe di Andersen e di Gimm-, poiché “buono” e “cattivo, “bene” e “male”, sono concetti complessi, non riducibili ad una semplice definizione: sono piuttosto qualità mutevoli, prospettiche e relative, il cui senso emerge solo ed esclusivamente in relazione alla concatenazione degli eventi.  I personaggi di Hauff mostrano così tratti psicologici estremamente complessi, capaci di renderli più umani e vicini ai piccoli lettori (…forse anche un poco più simpatici).

Per tutti questi motivi, l’etica che emerge nelle fiabe di Hauff e che veicola il suo progetto educativo può essere a mio parere definita un’etica “affabile” ed “avventurosa”: “affabile” perché, come abbiamo sottolineato, non esiste l’assolutamente buono e l’assolutamente cattivo (ad esempio, la strega ed il principe) ma personaggi, anche quelli che ci appaiono più terribili come Michele l’Olandese,  che in ogni momento, in ogni punto del racconto hanno la possibilità di riscattarsi, mutando così il ruolo che giocano entro l’intreccio fiabesco. “Avventurosa” poiché tale riscatto può solo passare attraverso la scelta, da parte del personaggio, di mettersi in gioco, di agire partecipando all’avventura che, in Hauff, è certo ricca di colpi di scena, di suspense, di tratti profondamente drammatici ma rimane sempre “verosimile”. Ciò significa che la possibilità di riscatto a cui la partecipazione all’avventura  dà accesso si realizza grazie alle sole forze umane: la magia, che pur qui conserva un ruolo essenziale, non è mai risolutiva e salvifica ma si limita a creare occasioni che i personaggio devono sapere cogliere e sfruttare scegliendo...ed assumendosi poi la responsabilità di tale scelta.

La ricompensa che consegue a questo processo, la ricompensa vera, non può allora avere secondo Hauff a che fare con la ricchezza, gli onori e la fama: ha piuttosto a che fare con l’intelligenza ed il buon senso, con il conseguimento di intelligenza e buon senso -di saggezza-, gli unici strumenti attraverso cui i personaggi delle fiabe possono sensatamente raggiungere il fine autentico e più alto del progetto di riscatto etico a cui abbiamo accennato. Tale fine si identifica con il conseguimento da parte dei protagonisti della “gioia” che, secondo lo scrittore, rappresenta il diritto inalienabile di ogni bambino e di cui la letteratura d’infanzia deve farsi megafono.

Le fiabe di Hauff si rivelano quindi particolarmente profonde e complesse, collocate al confine tra il mondo dei piccoli e quello dei grandi: ciò basta a renderci sufficientemente certi del fatto per cui, se Hauff fosse vissuto un poco più a lungo, le sue storie avrebbero conosciuto di certo la fama che meritano. Non lasciamole morire.

Qui trovate la recensione della fiaba sul mio canale You Tube: Il cuore freddo, Wilhelm Hauff

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