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venerdì 16 maggio 2014

Racconto per un amico, Halina Poswiatowska

Halina Poswiatowska

Racconto per un amico

Neri Pozza Tascabili (2006)

Halina Poswiatowska nasce nel 1935 in Polonia e muore nel 1967 all’età di 32 anni per una malattia cardiaca di cui aveva sofferto sin da bambina. Scrisse racconti e poesie che la resero molto amata nel suo paese; e scrisse poi un libro, Racconto per un amico, che apparve pochi mesi prima della sua morte e di cui ci occuperemo oggi.

Halina in questo racconto si rivolge ad un amico, ad un generico “tu” e questa confidenza stilistica avvicina il lettore alla scrittrice sin dalle prime battute precipitandolo nella narrazione con una vertigine cosicché, senza che se ne accorga, si trova inaspettatamente suo intimo amico.
Si tratta di un libro particolare, privo di una vera storia; eppure da questa lettura il lettore non può che uscirne profondamente cambiato. Halina sa di non avere tanto tempo e, appena prima di congedarsi definitivamente dalla vita, qui racconta attraverso ricordi innanzitutto il suo bisogno di ricordare poiché, è convinta, ciò che ci rende intimamente “persone”, uniche e irripetibili, sta nel passato: il passato infatti significa il presente rendendolo esclusivamente nostro ed è premessa necessaria per ciò che sarà di noi, per il nostro futuro. Ma c’è un altro motivo per cui Halina scrive: scrive per ricordare, abbiamo detto, ma scrive anche per essere ricordata nella convinzione secondo cui solo grazie al ricordo vi è poi possibilità di narrazione: ed è proprio attraverso la narrazione che il ricordo (e dunque anche Halina) potrà perennemente tornare alla vita. Halina così consegna tra le mani del lettore tutto quello che ha di prezioso: la sua memoria.

La scrittura diviene allora il mezzo attraverso cui scorre la vita di Halina che la scrittrice riversa nella penna con uno stile particolarissimo e che ha la funzione evidente di cancellare ogni confine tra vita e scrittura. Alla scrittura Halina consegna il dovere di realizzare, rendere reali, i suoi pensieri, le sue sensazioni in uno stile che avvicina e fonde insieme i cinque sensi dando così forma a percezioni colorate e intensissime che prendono vita nelle sue esperienze:

“Mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi. I rami dei ciliegi mi si piegano di nuovo sopra e sento il profumo delle violaciocche del nostro giardino. Pensiamo alla stessa cosa io e te. L’acqua ondeggia, sotto la chiglia della nave scivolano lentamente pesci fosforescenti. Il cielo è pieno di stelle. Attraverso le palpebre ne vedo una che cade: incrocio svelta le dita ed esprimo un desiderio”.

Accade così che Halina riesca a far splendere davanti al lettore ciò che egli altrimenti non saprebbe mai vedere e di cui lo sguardo della scrittrice si fa mediatore: un mondo complesso in cui le persone scorrono come fiumi ed in cui giustizia ed ingiustizia, verità e menzogna, vita e morte concorrono come opposti, e tuttavia insieme, a delinearne i contorni il cui senso abbiamo il compito di rinnovare e coltivare ogni giorno.La morte, sembra dirci Halina, appartiene alla grammatica della vita e la funzione delle parole, delle parole scritte è dunque quella di fissarne ogni sensazione, rendendone ogni battito universale.

E tuttavia delle parole Halina avverte certamente la forza ma anche il limite, il paradosso. Le parole infatti catturano la vita, ne fissano gli attimi, ma proprio per questo li imprigionano in un mondo astratto, privo di spazio e di tempo, realizzano separazioni in cui lo scorrere ed il fluire che essenzialmente appartengono alla vita sono di fatto esclusi. Le parole, detto in altro modo, segnano tra chi legge e chi scrive una cesura ed, insieme, chiamano alla partecipazione. Il tentativo di Halina è allora quello di costruire un linguaggio multisensoriale che riesca a oltrepassare tale cesura, potenziando così al massimo il potere espressivo della parola.

Da un lato allora Halina trasforma il delicato racconto che celebra il suo commiato dalla vita nel racconto universale dell’esperienza umana nel mondo e che ha evidentemente nel ricordo, o meglio nel bisogno di ricordare e dell’essere ricordati, la definizione della propria più intima identità, poiché non già la morte in sé e per sé suscita angoscia...ma il non lasciar tracce. Dall’altro lato l’esperienza di Halina e la riflessione intorno al potere (o all’incapacità) comunicativa della parola che dà voce al ricordo -e dunque alla possibilità di una narrazione-, diviene nel suo racconto occasione per riflettere su un problema teorico più generale e che coinvolge lo scopo stesso della letteratura, la sua funzione espressiva ed educativa.La letteratura, questo a mio parere il messaggio più importante che ci lascia Halina, deve riuscire ad esprimere, nelle esperienze particolari che narra, modelli universali, simbolici, che fissino, attraverso esempi, le leggi inesprimibili della vita, che costituiscono patrimonio culturale della comunità umana e che chi scrive ha il compito di tramandare oltre lo spazio ed il tempo.

Le cose da dire a proposito sarebbero moltissime..vorrei però provaste a leggere questo bellissimo libro anche alla luce di queste considerazioni e magari poi mi scriveste quali sono a proposito le vostre osservazioni. Vi lascio quindi con questo compito...e ci vediamo la prossima volta.

Qui potete trovare la recensione sul mio canale You Tube:  Racconto per un amico, Halina Poswiatowska

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