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domenica 1 giugno 2014

Il barone Bagge, Alexander Lernet - Holenia

Il barone Bagge

Alexander Lernet-Holenia

Adelphi (1982)




Russia, 1915. Il IX battaglione austriaco dei Dragoni si appresta a raggiungere la città di Nagy-Mihaly ai comandi del capitano Semler. Lo scrittore, a partire da una nota biografica, comincia così a narrare la storia del tenente Bagge che, insieme ai soldati Hemilton e Maltitz, affianca Semler in quest’impresa. Scopo della spedizione è quello di indebolire l’esercito nemico, condurre sopralluoghi, controllare il territorio che li separa dalla città di Nagy-Mihaly. Semler tuttavia sembra avere altri piani. I suoi uomini non sono esploratori: sono innanzitutto soldati e, anche se il compito di un distaccamento in avanscoperta senza appoggi dovrebbe essere semplicemente quello di setacciare il territorio, essi devono essere pronti in ogni caso alla battaglia.  A niente serviranno i richiami alla prudenza ed all’accortezza che Bagge rivolgerà al capitano tanto che al primo cenno di battaglia che da lontano giunge a Semler, il capitano ordina il galoppo, ordina la carica.

Il lettore è così trasportato attraverso stratagemmi stilistici finemente studiati insieme a Bagge nel cuore della battaglia, nel frastuono, nel disordine e nel caos in cui il tempo si scioglie in istanti slegati che disorientano. Tutto dura forse poco più di un minuto. Le fasi del combattimento si perdono in un’atmosfera fuori dallo spazio e fuori dal tempo fino a quando due pietre colpiscono Bagge al petto, riportando il tenente ed il lettore insieme, alla realtà. Bagge si guarda intorno; il battaglione ha vinto. Ecco il capitano Semler che si sistema la divisa; ecco Hemilton...ed ecco Maltitz che calmano i cavalli.
Possiamo respirare. Siamo ancora vivi.
Il IX battaglione dei Dragoni può continuare la sua marcia in mezzo alla tormenta.

Qualche cosa però a Bagge proprio non torna: mentre i cavalli procedono lentamente verso la città, il tenente si guarda intorno sentendosi gelare dal silenzio, dalla quiete impressionante resa ancora più torbida dalla neve. I compagni procedono calmissimi e controllati, per nulla scossi dalla battaglia appena conclusa, né meravigliati dal suo esito poco probabile. E non è tutto. Quando il battaglione finalmente giunge nella città di Naghy-Mihaly, Bagge scopre una città in festa. I cittadini offrono doni, apparecchiano banchetti ai soldati ed alle domandi incalzanti di Samler che chiede “dove, dove sono i nemici?!?”, rispondono con fragorose risate. Di nemici lì non ce ne sono proprio, non ce ne sono mai stati. Di nemici lì, nemmeno l’ombra.

Mentre Bagge osserva senza parole lo spettacolo incomprensibile che gli si presenta innanzi, una donna gli corre incontro: dice di chiamarsi Charlotte e dice anche di conoscerlo da sempre e di essere perdutamente innamorata di lui. Lo spaesamento di Bagge gli causa tremori e vertigini: l’atmosfera ridente e gaia della cittadini si scontra con i suoni ovattati e remoti che giungono dalla foresta, dal mondo intorno che sembra abbracciare la città di Nagy-Mihaly come una nuvola, come un sogno.
La sera ha luogo una festa in maschera in onore dei soldati e Bagge vi giunge un poco in ritardo, in uniforme: non ha fatto in tempo a cambiarsi.Ciò che vi trova lo lascia senza parole: le maschere che danzano, brindano, ridono festose non hanno le sembianze mitiche e fantastiche che si aspettava...sono piuttosto uniformi ingiallite, un subisso di vecchie divise, arcaiche marsine da funzionari ricamate d’oro, come emerse da epoche remote. Charlotte scorge Bagge e lo scorge nella sua divisa mentre Bagge, correndole in contro, coglie il lampo d’orrore e di morte che le passa negli occhi.

“Come se avesse perso tutt’a un tratto le forze, il ventaglio le cadde di mano e scivolò a terra. Io mi chinai a raccoglierlo. Cadendo s’era aperto, e vidi che su di esso, tra la parte traforata e il margine superiore, là dove dall’avorio fluiva un volo di piume di cigno, era dipinta a lettere d’oro una poesia. Era una delle più stupende poesie di Mallarmé, quella da lui scritta sul ventaglio di sua moglie, in cui dice che, mentre essa sta davanti allo specchio, ad ogni battito del ventaglio lo specchio s’illumina e ogni volta qualche granello d’invisibile cenere si riversa sul cristallo”.

Ma non c’è tempo, non c’è tempo per capire: per Bagge è ora di andare. Il capitano Semler infatti, ossessionato dal dovere morale di trovare il nemico, comunica al battaglione di sellare i cavalli e di tenersi pronti a partire. Bagge si congeda da Charlotte e la stringe: sa con certezza che non la rivedrà mai più.
Il battaglione procede nella nebbia...ma dove!?, urla Bagge.

“Ed ecco mostrarsi all’improvviso sulla strada davanti a noi un gran bagliore metallico, e avvicinandomi mi resi conto che veniva da un punte che scavalcava il fiume in quel punto. Un fragore formidabile, come di cascate di vetro alte fino al cielo, e un vapore iridescente come d’acque bollenti veniva su dall’abisso. Ma il ponte stesso era rivestito di lamiere di metallo che rilucevano come oro. Sì, era proprio oro quello di cui il ponte era coperto. “Volete, volete passare il ponte?” urlai nel fragore delle cascate. “Si”, risposero tutti, e le loro voci rimbombarono come un coro di campane. Ma io no, io non vengo con voi, non voglio passare dall’altra parte, non voglio, dev’essere tutto un sogno, ma io voglio svegliarmi - e mi svegliai”.

Bagge si risveglia dunque dal sogno per trovarsi steso a terra, gravemente ferito da due proiettili, quelli che aveva creduto pietre. Fa appena in tempo a guardarsi intorno prima di perdere coscienza, per accorgersi che non sono passati giorni dalla fine della battaglia ma soltanto pochissimi istanti...ed il IX battaglione austriaco dei Dragoni, non esiste più. Sono tutti morti.
Il tenente si trova in un ospedale ungherese e dal suo ricovero prova a ricostruire il sogno: ricorda di Semler, di Hemilton, di Maltitz...ricorda di Charlotte, ognuno dei quali, così come il resto del battaglione, come viene a sapere, è corso incontro alla propria fine, al proprio irrimediabile destino. Ed invece lui? Perché era sopravvissuto?

"Aveva percorso il cammino di nove giorni della morte, così come è prefigurato nei miti, s'era spinto verso il paese del sogno, verso nord, fino al ponte di Hor, o di Har, là dov'è la via di Hel, degli Inferi, fino al ponte d'oro che porta nell'irrevocabile da cui nessuno torna. Lui solo era riuscito a volger le spalle, ed era tornato indietro. Poiché, se qualcuno - così è detto - volge le spalle sulla via della morte, egli farà ritorno".


Qui potete trovare la recensione sul mio canale You Tube: Il barone Bagge, Alexander Lernet-Holenia

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