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giovedì 12 giugno 2014

Fondamenta degli incurabili, Iosif Brodskij

FONDAMENTA DEGLI INCURABILI
Iosif Brodskij
Adelphi (1989)



Al veneziano Marco Polo, Italo Calvino consegna nelle sue Città Invisibili  il dovere del racconto. Il racconto di un viaggio che Polo narra a Kublai Khan e che da Venezia lo conduce in oriente verso città fantastiche. Polo racconta di luoghi perduti, che forse sono esistiti ma di cui si è persa ogni traccia: città sospese nel vuoto, città mitiche e dell’assurdo. Brodskij differentemente da Marco Polo si ferma a Venezia ma con Marco Polo condivide il compito narrativo, la prospettiva: come ognuna delle città descritte da Marco Polo, la Venezia di Brodskij ci restituisce una possibile configurazione della civiltà, un possibile modo di inserirsi nella natura, di costruire forme artificiali, di utilizzare il linguaggio, di intrecciare rapporti. Questa possibilità di cui ci parla Brodskij non si declina tuttavia, come nell’opera di Calvino, in molteplici modelli: di Venezia ce ne è una sola, sembra dirci Brodskij, poiché stare a Venezia è come toccare la propria intimità perduta, entrare nel proprio autoritratto.

Brodskij si reca a Venezia solo d’inverno per evitare i turisti così che il suo sguardo d’esteta, di cultore del bello possa camminare senza inciampare in disarmonie umane. Muoversi a Venezia è come muoversi in un labirinto e di questo intrico di vie, ponti, case e canali Brodskij con la sua scrittura disegna una mappa, frantumando il racconto in un incedere discontinuo, fatto di susseguirsi di prose, di capitoletti che ondeggiano come sul mare. Brodskij di Venezia ci dice davvero moltissime cose sublimi e di tutte queste bellissime considerazioni io proverò ad esplicitarne solo due: vorrei cioè provare a spiegarvi perché per Brodskij, Venezia è innanzitutto la città “dell’occhio” e “dell’acqua”.

Stare a Venezia è come scrivere un libro: perché a Venezia si è sempre stranieri, prigionieri di una bellezza che non si possiede ma ci si dispiega davanti. Il bello s’impone, priva d’identità lo spettatore rendendolo provvisoriamente anonimo ed insegnandogli così, annullandolo, ad osservare il bello senza perdervisi dentro. Sapere osservare senza necessariamente ricercare in quanto si osserva parti di sé, è la prima condizione per poi cominciare a narrare. Venezia così, attraverso l’osservazione del bello a cui dà accesso, traccia una distanza sufficiente ad indicare allo scrittore la posizione nel racconto dell’io narrante, un io evidentemente universale che, libero di sé ma non per questo dimentico di sé, può offrire alla bellezza l’occasione di incarnarsi in una storia. L’incanto, l’adesione all’occhio dunque precede la penna.

Ma Venezia è anche la città dell’acqua, il palcoscenico del bello. Venezia è teatro sull’acqua, occhio liquido, che invita l’uomo a congedare il tempo orizzontale della normalità per disporsi alla verticalità:

“Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo - alias - acqua abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo. In più esiste indubbiamente una corrispondenza - se non un nesso esplicito - tra la natura rettangolare delle forme di quel pizzo - ossia degli edifici veneziani - e l’anarchia dell’acqua, che disdegna la nozione di forma. E’ come se lo spazio, consapevole - qui più che in qualsiasi altro luogo - della propria inferiorità rispetto al tempo, gli rispondesse con l’unica proprietà che il tempo non possiede: con la bellezza. Ed ecco perché l’acqua prende questa risposta, la torce, la ritorce, la percuote, la sbriciola, ma alla fine la porta pressoché intatta verso il largo, nell’Adriatico”


Venezia, come abbiamo visto, mette in scena il bello e lo può fare, spiega Brodskij, solo sfuggendo alla logica dello scorrere del tempo, il tempo orizzontale della vita, torcendo e forzando il tempo nella struttura immobile della spazialità; la spazialità è la dimensione dell’arte, del bello, di Venezia dunque, la città che che non passa ma immobile si erge verticale, fissandosi così in un eterno presente sempre uguale a sé stesso.

“Ripeto: acqua è uguale a tempo, e l’acqua offre alla bellezza il suo doppio. Noi, fatti in parte d’acqua, serviamo la bellezza allo stesso modo. Toccando l’acqua, questa città migliora l’aspetto del tempo, abbellisce il futuro. Ecco la funzione di questa città nell’universo. Perché la città è statica mentre noi siamo in movimento. Perché noi andiamo mentre la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro mentre la bellezza è l’eterno presente.”



Vi lascio qui Venezia di Guccini:
Venezia, Francesco Guccini

e qui il link alla recensione sul mio canale: Fondamenta degli incurabili, Iosif Brodskij

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